La saga della scrittura tra fardello della storia e levità del segno
di Italo Nobile
Si è sempre creduto che la scrittura fosse la trasposizione del linguaggio verbale. Ed in effetti oggi c'è una corrispondenza quasi biunivoca tra le due dimensioni. Questa corrispondenza forma la moderna linguistica. Ma in origine le cose non stavano cosi: la scrittura era una forma di espressione del pensiero indipendente dal linguaggio. In un certo senso era una forma stilizzata e funzionale di rappresentazione pittorica, che solo in un certo stadio evolutivo ha cominciato a rispecchiare più o meno fedelmente l'articolazione del linguaggio parlato. Proprio per questo si è pensato in questa occasione che, per parlare di scrittura, bisognasse ricorrere non solo alla memoria filosofica, ma anche all’immaginazione figurativa. L’aiuto di un artista, come Antonio Barbagallo, che costruisce la sua opera con lo spirito del buon artigiano, in una lotta e in un commercio diuturno con la materia, diventa in questo frangente un fattore essenziale per la riflessione. C'è infatti da svelare un'ambiguità sempre rinnovata del segno scritto che dice una cosa, ma sembra guardare altrove, come chi fatica ad indossare una maschera. L'artista ridando libertà ai segni può renderci più consapevole dei crampi che stremano il linguaggio. La scrittura è al tempo stesso grande fatica e grande magia: si staglia come sospesa nell’eternità, nonostante la fragilità della terracotta e della pergamena, e al tempo stesso in delicata trasparenza, a dispetto della durezza della pietra e del marmo. Eppure questa grazia ieratica o dinamica non è senza prezzo. Anzi, presuppone uno sforzo quasi disperato, la volontà ferrea di una comunità intera di strappare gli eventi al loro divenire o di tenere la molteplicità sotto controllo. Grazie al segno scritto tutto viene depositato in un magazzino, chiuso con un sigillo, eternato dalla morte. Tutto è a disposizione della nostra volontà, pur senza generare la gioia di un amore corrisposto, di una risposta alle nostre interrogazioni, di un contrappunto che scandisca il tempo del nostro pensiero. Non è un caso che presso gli Egizi sia Thot il dio legato alla scrittura: Thot era un dio dei morti (o meglio che portava le anime nell'Aldilà) e la scrittura se per noi è una traccia di quelli che ci hanno lasciato, per gli antichi era la voce di chi si doveva presentare al cospetto di un mondo divino che li avrebbe dovuti giudicare, senza possibilità d'appello. La scrittura in questo senso ha dentro di se tutta la passione di una preghiera e chissà se un profluvio di segni non riuscisse a rendere più leggero il cuore di colui che si sottoponeva al giudizio, scongiurandone la condanna. Il gesto oggi prosaico della pesatura diventava nel contesto dei Testi delle piramidi un riscontro della capacità umana di scaricare il negativo oggettivandolo nei segni e facendo di questi i servi dell'uomo, quelli che caricano su di sé il tempo che opprime, liberando l'anima dal peso della vita passata. Pregare, diceva un filosofo, è pensare al senso della vita. Ripercorrere le volute e le cesure storiche della scrittura è allora forse una forma laica di preghiera. Un modo cioè di raccogliere ciò che rimane e, con la pazienza di uno stagnino o di un sarto, mettere le toppe alle crepe del tempo. Questo è uno dei poteri modesti del pensiero. Altra magia è quella dell’arte, che trasforma una corda rassegnata in un serpente proteso all'attacco e con i segni nitidamente spezzati di uno scritto forma le ali della voglia di futuro. Con l’arte, i segni scritti che, paradossalmente, vengono irrigiditi dall’uso automatico, sono messi in moto dalla sospensione che solo una evocazione visionaria può provocare: i grammata smettendo di servire, appaiono per quello che sono: entità come le altre, forse con più “essere” delle altre. Una buona collaborazione inizia sempre con la divisione del lavoro, o meglio con una separazione consensuale. A questo proposito ci facciamo aiutare da un altro filosofo che diceva che un'arte è l’organo della filosofia: ingenuamente convinti di questa utopia, abbiamo inviato un pittore in perlustrazione nell'ignoto, mentre dirigendoci dalla parte opposta, verso ciò che è già noto, stiamo a raccattare scettici oggetti di forma strana, sperando siano tessere di un mosaico. Da un lato, speriamo di rivederci, perché condivideremmo insieme il silente compiacimento di un progetto realizzato. D’altra parte abbiamo paura di dover dividere il pane amaro di un mondo più angusto del previsto. Sarebbe come vedere le nostre vite già scritte con tratti eleganti sulla tavolozza di un dio che, con mano ferma, conduce anime svogliate.